Agosto 2014. Dopo la mia esperienza colombiana, taglio il confine e arrivo in Venezuela. Più facile a dirsi che a farsi. Alla frontiera si respira un’aria di traffici, traffico, caos, e tanta polvere gialla attorno. Le persone hanno gli occhi svegli e l’atmosfera è quella del: “Dimmi cosa ti serve straniero”. Intanto si cammina lungo la via arsa del sole e sul ciglio della strada mamme coi bambini vendendo taniche di benzina, 5 litri 1 euro. Una volta timbrato il visto, mi guardo intorno per cambiare i soldi. Trovo un tizio che mi ispira fiducia e cambio 50 euro in Bolivar. Gente! Mi da così tanti bigliettoni da 100 che non sapevo più dove metterli: nella borsa, nelle tasche, nel portafoglio. Bene, con molta fatica approdo alla città di Maracaibo, là, dove il caldo ti fa rimpiangere di essere venuto. Dopo ricerche estenuanti, trattative, e fitta folla alla stazione riesco a partite per Caracas. Nella capitale ci resto circa un mese. E dopo essermi scocciato di sentire la solita propaganda politica di Maduro su tutti i canali tv, decido di andare in Brasile. C’è un problema però. Alla frontiera, dicono, che se non hai il vaccino contro la malaria non passi. Ho domandato a decine di persone e viaggiatore, e sembra di sì, il vaccino è necessario. Però sto vaccino per la febbre gialla non ce l’ho! Mi dico io. E adesso? Domandando, domandando in giro, e alla fine riesco a fissare un appuntamento in una specie di “asl”. In autobus, la mia testa faceva: “Madre, Gesù, che sorte avversa, morto e vaccinato nei peggior bar di Caracas”. E ridevo freddamente pensando alla pubblicità. Una volta arrivato lì, invece, tutto liscio, mi fanno questa iniezione, torno in hotel e mi appisolo nel letto. Nella sera, però, ho visto le stelle: una febbre da cavallo e la testa che mi esplodeva. Veramente ho creduto di rimanerci secco.
Alla fine sapete com’è andata? Alla frontiera non mi hanno chiesto niente. Maledizione!
